domenica 28 agosto 2011

E ADESSO PARLIAMO UN PO' DI ME. /2



Da tre anni sto curando la corporate e la comunicazione di un'azienda che progetta, produce e commercializza abbigliamento biologico: Kayo Ebisu.
Insieme al preziosissimo apporto dello Studio Maccentelli, alias GianMatteo brother, ho sviluppato il logo, l'immagine coordinata, la grafica del sito, tutto il btl e la gestione sui social network.
Siamo nel campo della comunicazione etica, dove i valori sono essenziali. E non sto semplicemente parlando di benefit di prodotto salutistici, bensì di un'etica che rappresenta la conditio sine qua non dell'identità di marca. Dove il concept è destinato a figure psicografiche ben definite. Un mercato di nicchia altamente verticale, che va affrontato non certo con gli obici pesanti del mass market.

Questo lavoro di marketing e comunicazione si è integrato con la richiesta da parte del cliente di vivere l'azienda come in un rapporto simbiotico.
Molte agenzie parlano di "lancio del prodotto". Anche l'ultima nella quale ho lavorato (di cui non faccio il nome per correttezza), per anni ha avuto sempre lo stesso ritornello autopromozionale: lanciamo il prodotto. Di lanci ne ho visti pochi. A parte una magnifica operazione di direct a cui ho partecipato... ma mi fermo qua. Lascio i lor signori ai piccoli guru e alla ricerca di talenti.

Bene, non mi era mai capitato di gestire direttamante il lancio di un prodotto, figuriamoci un'azienda. Ma l'ho fatto. Sin dalla sua nascita, ne ho seguito l'architettura in tutta la fase di start up, creando interesse istituzionale. Ciò ha portato a stanziamenti di microcredito. Poi ancora, è arrivata prima nel Mambo 2009 del Comune di Bologna, aprendo una showroom in centro. Questo nonostante la crisi e un cambio di core business al volo, una virata che solo una piccola piroga veloce può fare: dal btb del wellness al btc con test di prodotto. Tutto questo a budget ridicolo!

Non sarei qui a scrivere se non avessi visto i risultati giorno per giorno. Oggi la Kayo Ebisu è nel Board di Presidenza di Federmoda Bologna. D'accordo, l'azienda... e il lancio del prodotto? Beh, attualmente partiamo dalla creazione ex novo di una linea che rischia di essere il frutto del meglio che Bologna possa esprimere: la creatività scientifica di chi fa ricerca all'Alma Mater e l'eccellenza del made in Italy. Ovviamente insieme alla qualità bio. E' di questi mesi il lavoro di ricerca con uno spinoff universitario per la realizzazione di un tessuto altamente innovativo. Naturalmente con lo studio del marchio della nuova linea, dei mercati, dei canali e del posizionamento del prodotto.

E ADESSO PARLIAMO UN PO' DI ME. /1


Questo sono io, a Milano in viale Legnone. Quasi 22 anni fa. Ero alle prese con la produzione Maccentelli dello spot Caffè Arabesco. Cliente Torrisi, agenzia (portata da noi al cliente) Gariboldi Parisi Verga Int.
Gli studi erano della Film Studio 80, quella che oggi è la Harold & Motion Pictures SpA. Il regista Raffaello Iacomelli, fotografia Giorgio Fantini.

Per l'agenzia, che ne aveva ben donde per clienti più importanti, fu un "mirabile" esempio di "ti prendo il clientuzzo" e ti confeziono un concept creativo buono buono e giusto giusto per andare a fare una bella vasca a Cannes. Tipico esempio di utilizzo del cliente per altri fini. La storia era esilarante: un incrocio tra un ridolini post moderno e un Calogero Cera Grey che tira martellate in testa per testare il caffè. Ma forse il copy test andava fatto sul serio.
Tecnicamente il lavoro fu ottimo e Francesco Torrisi, un carissimo amico, rimase soddisfatto.
Ma il concept, a considerare l'area Nielsen 4: Sicilia e un po' di Calabria, non c'entrava una beata minchia. Baciamo le mani.

sabato 27 agosto 2011

PUBBLICITARIO, PROFESSIONE...BOH?



Le banalità come questa qui sopra, alla getty images, art che non sanno fare un rough a mano, il copia-incolla concettuale, iconorafie dei luoghi comuni, la pubblicità italiana è diventata proprio dozzinale, scialba. In altre parole, priva di una vita propria.

Mi ricordo che già nell''83, a Venezia, l'unico anno in cui si svolse il festival del cinema pubblicitario nella città della laguna (per il resto Cannes forever), gli italiani avevano poco o nulla da esprimere.
Ma allora si poteva parlare ancora di tempi d'oro. L'era dei guru che non è mai morta., per loro Guru indiscutibili, alla Pirella e Sanna. E guretti che non facevano i profeti in patria: lo erano fuori da Milano. Li vedi approdare ancora oggi in città come Bologna, lustrati da campagne fortunose vecchie di lustri.

Diciamolo, non è stata la crisi e le colpe del mercato drogato da Berlusconi. E neppure l'ignoranza del cliente. Ad abbassare la qualità del prodotto adv e affini è stata la precarizzazione delle professionalità.
Tutti vogliono il think tank per la speculativa, la gara, la campagnaccia strappata tra venti cani azzannanti. Ma il think tank, può anche essere un genialoide, tuttavia non è mai stato o è stato poco in un'agenzia. E questo vale anche per le coppie.
Improvvisazione, partite IVA onerose (siamo in Italia, non in UK dove le congeli), battaglie al ribasso, pagamenti al mese del mai. Ci vuole un gran coraggio per mantenere la passione nel fare le cose.

Una volta si era nomadi. Tre anni al massimo alla Grey e poi via, alla Lintas. Così nascevano e si formavano i creativi, le professionalità, soprattutto i copy e gli art. Ma non era un nomadismo vero. Nelle agenzie c'eri. Semplicemente le giravi, le cambiavi. E loro cambiavano te, arricchendo il tuo bagaglio professionale e culturale. Su Strategia, rivista di advertising, la rubrica "si alzano e si siedono" era lunga come il dizionario Devoto Oli. E l'agenzia in sé era una grande scuola di manager della comunicazione.

Oggi non è più così. Oggi sei fuori e basta. E se hai la fortuna di essere dove sei, fai di tutto per restarci. La colpa? La politica degli imprenditori d'agenzia sulle risorse umane. Le agenzie sono state tra i primi soggetti aziendali a precarizzare i lavoratori della comunicazione, a esternalizzare e ad abbassare prezzi.
Risultato? Sotto gli occhi di tutti.

E i guru travet, i lumpen della nostalgia per i bei tempi andati, direttori creativi del ce riprovamo, continuano a pontificare su chi va bene e chi no. Spesso solo per convenienza personale.

Squallor.