venerdì 19 aprile 2019

Una riflessione alla vigilia del 25 aprile

Partigiani fiorentini, il primo da sinistra
è Angiolo Gracci,
nome di battaglia Gracco
Abbiamo passato decenni a celebrare il 25 aprile con liturgie che di fatto celebravano lo status quo di un paese a guida democristiana. Una sorta di un unanimismo che metteva d'accordo tutti, mentre i rumor (Mariano davanti e Junio Valerio di dietro...) di sciabole, le bombe, lo squadrismo fascista, i servizi interni ed esteri imperversavano dimostrando che il sistema costituzionale e politico nato dalla Resistenza era fortemente condizionato.
Intanto chi raccoglieva la bandiera di quel bienno di guerriglia in montagna, di pianurizzazione e di lotta armata gappista nelle città, indicava la strada per portare a compimento quanto la Resistenza stessa aveva iniziato. Un vasto movimento che tra la fine degli anni '60 e i primi '80 è stato attaccato e represso, perché era chiaro che quel movimento metteva in discussione fin alle sue radici lo stato classista e reazionario, i suoi apparati repressivi e di controllo sociale, al di là delle retoriche di regime.
Certo, i partigiani erano di tutti colori politici, ma è innegabile che il nerbo della Resistenza al nazifascismo era costituito principalmente dai comunisti insieme ai socialisti e ai GL. Erano coloro che scendevano da Monte Sole tirando bombe e a mano e sparando raffiche di mitra urlando urrà Stalin.
Urrà Stalin non voleva dire semplicemente viva il capo supremo del socialismo sovietico. Chi poteva sapere allora le problematiche liberticide che divennero ben chiare col tempo? Al netto delle polemiche ideologiche e di chi sapeva perché interno agli ambiti politici di partito e dell'antifascismo militante e clandestino, in quel grido c'era una visione del mondo socialista ed egualitaria. In quelle voci c'era la speranza di un mondo nuovo, di una rossa primavera.
Ecco, oggi appare giusto e da difendere ciò che le destre reazionarie fascio-leghiste, forzaitaliote mettono in discussione: quelle liturgie ecumeniche che esaltavano il gattopardo di ieri come di oggi.
Ma non è così. Non è questo lo spirito che animò la maggior parte dei partigiani.
I nemici erano e restano due: la democrazia liberale che oggi in senso autoritario incarna il neoliberismo più selvaggio e il ritorno a un fascismo nazionalista rinnovato da una propaganda populista.
La lotta contro queste due tendenze che gli italiani non riconoscono più, e si lasciano essere prede di queste a destra come a sinistra, deve essere il nostro antifascismo, la nuova Resistenza, che non può che essere di classe, internazionalista, per il socialismo.
Ecco perché non possiamo cedere alle ennesime lusinghe del ceto politico sinistrato che tra santini di Berlinguer e citazioni di Bersani ci canta con nostalgia le "bellezze" dello "stato democratico".
Mi colpì in un'assemblea di Coalizione Civica bolognese l'accenno evocativo al periodo di Zangheri. Ma Zangheri a Bologna mi ricorda i carri armati nelle strade durante il marzo del '77. Siamo diversi, non siamo la stessa sinistra. E io mi batterò in Potere al Popolo perché la "socialdemocrazia", la brutta bestia di sempre, da Noske ad oggi, non abbia cittadinanza, perché PaP deve continuare a essere altro, una forza rivoluzionaria e non una congerie di facili riformismi in tempi in cui le riforme dell'UE e del capitalismo stesso non sono più possibili, se mai lo sono state.
La nostra lotta, ora come allora, è contro questo stato classista e difendere la Costituzione non è un punto di arrivo, ma di partenza per realizzare la sola democrazia che può essere processo di trasformazione della società: la democrazia della classe operaia e dei settori popolari subalterni al regime borghese. La Costituzione non è un santino, ma uno strumento istituzionale per una costituente che sarà il prodotto del conflitto sociale, oltre gli apparati marci, fascisti e collusi di questo stato.
Anche oggi, che siamo in una fase tutt'altro che favorevole e rivoluzionaria, dobbiamo tenerlo ben presente. Altrimenti niente casematte gramsciane, niente guerra di posizione ma concessioni politiche alle forze europeiste neoliberali di cui questa sinistra di ceto fa parte. Purtroppo anche il gruppo dirigente di Rifondazione è un residuo riformista.
Noi come PaP continuiamo la nostra lotta. I migliori riformisti, la storia insegna, sono i rivoluzionari. Soprattutto se hanno ben chiaro dove vogliono andare e come.
Che questo 25 aprile non sia terreno di puntatine elettoralistche, ma sia un momento di lotta che faccia chiarezza su chi lavora per la ricostruzione di un fronte popolare di classe antimperialista e anticapitalista e su chi invece, agitando piccoli padri discutibili, ci vende solo fuffa.

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